Accorato appello del Papa a Lesbo

Fermiamo questo naufragio di civiltà, non lasciamo che il mare nostrum diventi mare mortuum. Francesco lancia la dolorosa invocazione da Lesbo, isola simbolo della tragedia migratoria, della “catastrofe umanitaria più grave della seconda guerra mondiale” che già nel 2016 lo aveva accolto. Oggi il Papa di nuovo parla a questa umanità ferita, incrociandone gli occhi “carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime”.
Prima di pronunciare il suo discorso, il Papa attraversa il campo, percorre la strada sterrata che passa tra i container che lo compongono, tra lui e i migranti non c’è distanza, tocca le mani, sorride, ascolta storie e richieste, accarezza e abbraccia i bambini che gli allungano le braccia, sempre circondato da calore e da sorrisi, ma anche dal muro e dal filo spinato che ingabbiano queste persone, come uno dei lager di cui Francesco aveva già parlato a Cipro.
Nelle vite dei migranti, il futuro di tutti
Francesco viene accolto nel Reception and Identification Centre dai canti di alcuni degli ospiti del Campo e dal saluto della presidente che parla di come la Grecia abbia sopportato il “peso spropositato dalla crisi dell’immigrazione e dei rifugiati, che sta colpendo l’intero Mediterraneo, il mare che ci unisce”, e di come affrontarla sia “una responsabilità condivisa dell’Europa”. La parola del Papa è subito di denuncia, perché le migrazioni sono “una crisi umanitaria che riguarda tutti”, invoca la solidarietà del mondo, perché se altre sfide globali come la pandemia o i cambiamenti climatici vedono muoversi qualcosa, così non è per quanto riguarda le migrazioni:
Eppure ci sono in gioco persone, ci sono in gioco vite umane! C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose.
Francesco chiede quindi di seguire gli insegnamenti della storia e di adottare politiche ad ampio respiro:
Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!
Triste impiegare forze e fondi per costruire i muri
Nella sua prima visita a Lesbo, cinque anni fa, il Papa era accompagnato dal Patriarca ecumenico Bartolomeo e da Ieronymos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. Francesco va con la memoria a quei momenti, notando come da allora “sulla questione migratoria poco è cambiato”, ringrazia chi è impegnato nella cura dei migranti e la popolazione e le autorità di Lesbo che hanno sopportato sacrifici e ospitato e ringrazia la Grecia tutta per un’accoglienza “che diviene un problema perché tante volte non trova cammini di uscita per la gente per andare altrove”. La Grecia, però, al pari di altri Paesi, “è ancora alle strette” e mentre in Europa c’è chi continua a trattare il problema come se non lo riguardasse, i migranti vivono in “condizioni indegne dell’uomo!”:
Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte! Eppure il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto! È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri.
“Siamo nell’epoca dei muri e dei fili spinati”, continua, ma anche di fronte a timori e insicurezze, difficoltà e pericoli, non sono le barriere che risolvono le cose e migliorano la convivenza. Si devono unire le forze per “prendersi cura degli altri”, nella legalità e senza prescindere dal “valore insopprimibile della vita di ogni uomo”.
Fonte: www.vaticannews.va