Udienza generale: accompagnare il fine vita. Sì alle cure palliative, no all’aiuto al suicidio assistito

San Giuseppe patrono della “buona morte” ci ricorda che “la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”. Papa Francesco dedica la ventesima catechesi dell’udienza generale agli ultimi momenti di vita del padre terreno di Gesù, di cui nulla scrivono i Vangeli, ma che si pensa abbiano avuto l’amorevole assistenza della Vergine Maria e di Gesù, “prima che lasciasse la casa di Nazaret” e iniziasse la sua vita pubblica.
E sottolinea che dobbiamo essere grati alla medicina che attraverso le “cure palliative” aiuta a vivere l’ultimo tratto di strada “nella maniera più umana possibile”, ma non dobbiamo “confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano ad uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio”. E quindi “va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati”.
La fede aiuta ad affrontare la paura della morte
Il Pontefice sottolinea che oggi “si cerca in tutti i modi di allontanare il pensiero della nostra finitudine, illudendosi così di togliere alla morte il suo potere e scacciare il timore”. Ma, ribadisce, “la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla”. E “viene dalla risurrezione di Cristo” la vera luce “che illumina il mistero della morte”. Ricorda che San Paolo, nella Lettera ai Corinzi, critica quanti dicono “che non esiste risurrezione dei morti”, affermando: “Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”.
Accompagnare alla morte, non provocarla
Quanta saggezza, aggiunge Francesco, nella frase del popolo fedele di Dio: “lascialo morire in pace”. La seconda considerazione “riguarda invece la qualità della morte stessa, del dolore, della sofferenza”:
Dobbiamo essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette “cure palliative”, ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile. Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano ad uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio.
La vita è un diritto, non la morte
Per questo “va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati”.
Infatti, la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti.
Inumano accelerare la morte degli anziani con meno mezzi
Qui il Pontefice lasca il discorso preparato e aggiunge una sottolineatura su un “problema sociale”, l’ “accelerare la morte degli anziani”, soprattutto quelli con pochi mezzi economici:
Si danno meno medicine rispetto a quelle di cui avrebbero bisogno, e questo è disumano: questo non è aiutarli, questo è spingerli più presto verso la morte. E questo non è umano né cristiano. Gli anziani vanno curati come un tesoro dell’umanità: sono la nostra saggezza. E se non parlano, e se sono senza senso, ma sono il simbolo della saggezza umana. Accarezzare un anziano ha la stessa speranza che accarezzare un bambino, perché l’inizio della vita e la fine è un mistero sempre, un mistero che va rispettato, accompagnato, curato. Amato.
Fonte: www.vaticannews.va