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Cardinal Martini, un padre-pastore aperto al dialogo

Il 31 agosto del 2012 moriva a Gallarate, nella casa per gesuiti anziani, Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002, e prima rettore del Pontificio Istituto Biblico e dell’Università Gregoriana. 

Ho cercato sinceramente di ascoltare la storia, gli eventi, le persone, tutti voi che incrociavo nel mio cammino: ho desiderato incontrare almeno idealmente tutti, ma soprattutto gli ultimi…”. Nelle parole con le quali l’arcivescovo Carlo Maria Martini si congedava dai milanesi, l’8 settembre 2002, c’era soprattutto il pastore che ha sempre cercato il dialogo. Con i fedeli della più grande diocesi del mondo, guidata per 22 anni, ma anche con i tantissimi che vedevano in lui il primo riferimento morale della città. Un “padre-pastore”, attento alle vite che gli erano state affidate, ma nato come uomo di cultura, gesuita e brillante studioso di Sacra Scrittura, rettore del Pontificio Istituto Biblico prima e dell’Università Gregoriana poi.

Maestro e amico. Così ricorda oggi Martini, a dieci anni dalla morte, e a 20 da quel commuovente congedo nel Duomo di Milano, don Virginio Colmegna, 77.enne “prete di comunità” milanese, che il nuovo arcivescovo nato a Torino ma arrivato da Roma, nel 1980 mandò subito in periferia, a Sesto San Giovanni, come parroco e “anima” della comunità per disabili Parpagliona. E che nel 1993 chiamò a dirigere la Caritas Ambrosiana, lasciata nel 2004 per fondare la Casa della Carità, il lascito dell’arcivescovo-gesuita a Milano. 

Nel suo racconto appassionato e commosso, don Virginio rievoca le molte iniziative innovative dell’arcivescovo, a partire dalla Scuola della Parola, per aiutare i fedeli ad accostarsi alla Sacra Scrittura, attraverso la lectio divina. Poi le Scuole di formazione all’impegno sociale e politico e, dal 1987, la serie di incontri a due voci sulle “domande della fede”, che chiama Cattedra dei non credenti. Infine la grande Assemblea di Sichem, per invitare i giovani alla missione nella città. Con uno stile diverso da Papa Francesco, il confratello gesuita Martini esprimeva vicinanza concreta a fedeli e sacerdoti, sottolinea don Colmegna.

L’ultimo Martini, la sofferenza fisica e per la Chiesa

Dell’ultimo Martini, infine, quello della nuova ricerca biblica e la preghiera di intercessione della pace a Gerusalemme, e della sofferenza fisica e per le difficoltà della Chiesa a Gallarate, il presidente della Casa della Carità ricorda l’ultimo colloquio con Benedetto XVI, nel giugno 2012. “Il suo assistente don Damiano ricorda che le sue parole erano diventate poco comprensibili – ci dice don Virginio – eppure volle consegnare al Papa il suo amore per una Chiesa che aveva bisogno del cambiamento, e la sofferenza interiore che viveva.

Fonte: www.vaticannews.va

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