Fare cultura digitale
“Fare cultura digitale. Anche nei nostri ambienti, nei nostri territori, possiamo fare la differenza. Esercitando la teologia dell’ospitalità. Abramo ha ospitato Dio noi possiamo ospitare tanti giovani che sono alla ricerca di Dio e aiutarli a non confondere Dio con quello che le nostre macchine sono capaci di fare”.
Don Luca Peyron, sacerdote torinese, è impegnato da anni nell’attività dell’Apostolato Digitale assieme alla pastorale universitaria e il suo essere parroco. Con lui, tra i principali sostenitori della candidatura di Torino ad ospitare l’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale, abbiamo parlato di Intelligenza Artificiale e teologia, di quelle che potranno essere le ricadute positive, i potenziali rischi nel nostro futuro e di come teologia e fede possono esserci di aiuto in un mondo che velocemente è incamminato verso una vera e propria rivoluzione digitale.
Don Luca, perché la diocesi di Torino si è battuta così tanto per ottenere di ospitare la sede dell’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale?
Per due ragioni. La prima è perché in questo tempo, particolarmente complesso, crediamo che sia fondamentale che la Chiesa sia capace di profezia e non semplicemente di posizioni di retroguardia stando a “giudicare”. Come diceva Giovanni XXIII la Chiesa è “magistra” ma deve anche essere “mater” e quindi capace di generare in qualche modo il futuro e nuove narrazioni. Questo diventava importante non solo per un territorio, non solo per Torino, ma per l’Italia nel suo complesso
E il risultato è stato ottenuto.
Quello di Torino sarà tra i primi centri europei a nascere e quindi si candida come elemento sostanziale nel contesto dell’Unione Europea.
La seconda ragione?
L’intelligenza artificiale nel contesto globale della trasformazione digitale che tutti stiamo vivendo, è certamente uno degli “asset” più importanti e ha una capacità di premere concretamente nella nostra realtà e nel quotidiano in maniera particolarmente significativa. Quindi che l’intelligenza artificiale sia creata prima e governata poi con un bagaglio valoriale che rispetti, per esempio, la dignità dell’uomo è elemento essenziale. Il fatto che la Chiesa su questo abbia qualcosa da dire, da mettere parola, rientra un po’ nella missione e nel servizio che da sempre svolge nei confronti dell’umanità
Con l’intelligenza artificiale saranno messe a disposizione molteplici opportunità: in campo medico, scientifico, in agricoltura per esempio. Ci sono anche forti preoccupazioni e perplessità. C’è chi è arrivato a scrivere che questa potrebbe essere l’ultima invenzione dell’uomo creando qualcosa che diventerebbe autonomo e non più governabile. Lei cosa ne pensa?
L’intelligenza artificiale come qualunque strumento tecnologico ha la capacità di aiutarci a raggiungere degli obiettivi, realizzare degli scopi, risolvere dei problemi. A seconda degli scopi, obiettivi e problemi che noi assegniamo all’intelligenza artificiale essa può essere a servizio dell’uomo, a servizio dell’ominizzazione dell’uomo oppure contro l’uomo. Può farci assumere responsabilità o togliere responsabilità, al punto di non essere più capaci di assumersi responsabilità. Un secondo aspetto che mi pare centrale è quello che l’intelligenza artificiale sfida le grandi domande che forse da tanto tempo non ci facciamo più. Lo stesso termine intelligenza ci costringe in qualche modo a ripensare che cosa consideriamo intelligenza e cosa consideriamo intelligente, chi è intelligente. Questo è un recuperare i fondamenti dell’umano che è sicuramente importante. C’è anche un terzo aspetto che mi pare significativo. E’ quello che l’intelligenza artificiale ci pone delle sfide soprattutto di carattere valoriale e etico. Non può esistere una intelligenza artificiale etica senza una società etica. Non può esserci una intelligenza artificiale anche come agente autonomo o semiautonomo con una moralità, senza una moralità globale. In qualche modo l’individualismo degli ultimi decenni viene messo a confronto con un pericolo reale che la tecnologia ci propone. Questo ci fa, forse, pensare o ripensare quanto sia importante il bene comune e quanto sia importante avere una moralità condivisa e una cultura che si fonda su una moralità condivisa. Forse la paura delle macchine ci fa scoprire quanto è bello essere umani.
Fede, teologia come possono esserci di aiuto a vivere in un mondo che sta procedendo verso un cambiamento così epocale. Sistemi innovativi autonomi, potrebbero arrivare a restringere, come alcuni temono, i confini del libero arbitrio per l’uomo stesso?
Credo che la tecnologia proprio per le caratteristiche da lei delineate ha sempre di più la capacità di essere motore di senso e generatrice di senso. Non in maniera autonoma però. Noi riversiamo nella tecnologia il senso che diamo all’esistenza e alla realtà, che la tecnologia in qualche modo ci restituisce e preme sulla nostra capacità di giudizio e sul nostro esercizio della libertà. Proprio per queste ragioni la componente tecnologica diventa determinante e decisiva. Uno sguardo sulla realtà a partire dalla rivelazione che ci è stata data dalla tradizione della Chiesa che contemperi fondamentalmente un aspetto: la custodia dell’umano nella consapevolezza che umano e divino sono nella misura in cui mantiene una relazione positiva. In qualche modo la tecnologia oggi ci dà l’illusione di essere Dio. Ora, l’essere come Dio non è sbagliato. Sappiamo che il peccato originale non consiste nel desiderio di essere come Dio, ma nel desiderio di essere come Dio senza Dio. In qualche modo porre un quadro teologico all’interno di questi discorsi permette di mantenere il desiderio di grandezza che è proprio dell’uomo. Senza perdere l’idea fondante e fondativa che questo desiderio di grandezza è possibile perché siamo a immagine e somiglianza di un Dio che c’è ed è accanto a noi ed è risorto.
Ecco perché è importante la presenza dell’azione dell’Arcidiocesi di Torino nel percorso verso l’Istituto Italiano per l’intelligenza artificiale?
L’idea non è quella di occupare spazio, ma di generare dei “processi” come dice Francesco. Questo è un po’ il lavoro che facciamo a Torino con il servizio di Apostolato Digitale e nel tentativo di mettere a tema questi progetti. Sono anche parroco e abbiamo un progetto che si chiama “Pompei Lab” che consiste nell’avvicinare giovani e anziani a questi temi. Fare cultura digitale. Anche nei nostri ambienti, nei nostri territori, possiamo fare la differenza. Esercitando la teologia dell’ospitalità. Abramo ha ospitato Dio noi possiamo ospitare tanti giovani che sono alla ricerca di Dio e aiutarli a non confondere Dio con quello che le nostre macchine sono capaci di fare.
L’intervista integrale sarà disponibile nella puntata numero del programma Chiesa ed Europa in onda venerdì 19 marzo alle 18.30 e sabato 20 marzo alle 22.05. Successivamente, come tutte le puntate del programma, sarà disponibile “on-demand” sul canale YouTube di Telepace