Francesco ai Mapuche: “Siate artigiani di unità”

«Küme tünngün ta niemün». Papa Francesco ha usato la lingua degli indios Mapuche per iniziare l’omelia augurando «la pace sia con voi». Ieri, mercoledì 17 gennaio 2018, Bergoglio è volato nella regione Araucania e incontra “l’altro Cile”, quello delle popolazioni autoctone. Ha celebrato per loro una messa all’aerodromo Maquehue di Temuco, fino a tre anni fa aeroporto della città, luogo tristemente noto perché durante la dittatura di Pinochet qui venivano reclusi e torturati gli indios. Il Papa difende le culture indigene, e il loro apporto alla vita del Paese. Appoggia le loro battaglie per i diritti, li invita a essere «artigiani di unità».
Qui, dove hanno vissuto nei primi del Novecento due famosi premi Nobel, Gabriela Mistral e Pablo Neruda, più del 26% della popolazione vive in povertà. I Mapuche – l’unico popolo aborigeno dell’America Latina che cresce mentre altri rischiano l’estinzione – rivendicano la restituzione delle terre che il governo aveva confiscate dandole ai latifondisti. Per decenni la parola “mapuche” è stata usata in modo spregiativo, sinonimo di analfabeta. Qui venne anche Giovanni Paolo II, nel 1987, manifestando la sua vicinanza ai popoli autoctoni. Dopo la fine della dittatura, nel 1993 la nuova “legge indigena” del governo democratico stabilì indennizzi e restituzione delle terre, ma le promesse sono rimaste in buona parte sulla carta. Questo ha favorito che una minoranza si radicalizzasse.
Nell’omelia cita Violeta Parra, cantautrice e poetessa: «Arauco ha un dolore che non posso tacere, sono ingiustizie di secoli che tutti vedono commettere». Ricorda che in questo aerodromo «si sono verificate gravi violazioni di diritti umani. Offriamo questa celebrazione per tutti coloro che hanno sofferto e sono morti e per quelli che, ogni giorno, portano sulle spalle il peso di tante ingiustizie».
Bergoglio mette in guarda dalle «possibili tentazioni». Una delle principali «è quella di confondere unità con uniformità. L’unità non è un simulacro né di integrazione forzata né di emarginazione armonizzatrice. La ricchezza di una terra nasce proprio dal fatto che ogni componente sappia condividere la propria sapienza con le altre».
Il Papa cita poi due forme di violenza da rifiutare, perché minacciano i processi di unità e riconciliazione. «Dobbiamo essere attenti all’elaborazione di accordi “belli” che non giungono mai a concretizzarsi.
La seconda tentazione da respingere è la ribellione violenta al prezzo di vite umane. «Non si può chiedere il riconoscimento annientando l’altro, perché questo produce solo maggiore violenza e divisione. La violenza chiama violenza».
Fonte: www.lastampa.it/vaticaninsider