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Francesco: Giuseppe il forte e il mite, esempio per ogni vocazione

E’ alle cure paterne di Giuseppe, al suo cuore mite, al suo essere completamente donato a Dio che Papa Francesco affida le vocazioni di oggi. Nel Messaggio in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, istituita da San Paolo VI nel 1964 e che cade il 25 aprile, quarta domenica di Pasqua, il Pontefice racconta della vita ordinaria di questo “grande Santo” che “ha realizzato qualcosa di straordinario agli occhi di Dio”.

Un cuore generoso

Nei Vangeli non ci sono le sue parole ma c’è il suo cuore che parla e che il Signore vede e sceglie. Dio “in San Giuseppe – scrive Francesco – ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità”. Le vocazioni così generano e rigenerano vita ogni giorno:

Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri: cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze. Di questo hanno bisogno il sacerdozio e la vita consacrata, oggi in modo particolare, in tempi segnati da fragilità e sofferenze dovute anche alla pandemia, che ha originato incertezze e paure circa il futuro e il senso stesso della vita. San Giuseppe ci viene incontro con la sua mitezza, da Santo della porta accanto; al contempo la sua forte testimonianza può orientarci nel cammino.

I piccoli cenni di Dio

La riflessione del Papa si articola su tre parole-chiave. La prima è “sogno”, un termine che in modo indissolubile si lega all’amore perché è lì la vera realizzazione della vita e lì che si rivela il mistero. “La vita, infatti – sottolinea Francesco – si ha solo se si dà, si possiede davvero solo se si dona pienamente”. San Giuseppe ha fatto della sua vita un dono, grazie ai sogni che gli hanno indicato la strada.

San Giuseppe si lasciò guidare dai sogni senza esitare. Perché? Perché il suo cuore era orientato a Dio, era già disposto verso di Lui. Al suo vigile “orecchio interiore” bastava un piccolo cenno per riconoscerne la voce.

Un cenno che si trasforma in chiamata, perché – scrive il Papa – Dio non ama rivelarsi in modo spettacolare, forzando la nostra libertà. Il suo modo di parlare è con “mitezza”, “non ci folgora con visioni splendenti, ma si rivolge con delicatezza alla nostra interiorità, facendosi intimo a noi e parlandoci attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti”.

Un sì non arrendevole

I quattro sogni di Giuseppe – la nascita di Gesù, la fuga dall’Egitto, il ritorno in patria e l’arrivo a Nazaret – sono stravolgimenti ai quali lui risponde con coraggio, seguendo la volontà di Dio che si rivela “vincente”. Ma Giuseppe non è un uomo rassegnato, la sua è “un’accoglienza attiva”, “un coraggioso e forte protagonismo”.

Non c’è fede senza rischio. Solo abbandonandosi fiduciosamente alla grazia, mettendo da parte i propri programmi e le proprie comodità, si dice davvero “sì” a Dio. E ogni “sì” porta frutto, perché aderisce a un disegno più grande, di cui scorgiamo solo dei particolari, ma che l’Artista divino conosce e porta avanti, per fare di ogni vita un capolavoro.

Un cuore generoso

Nei Vangeli non ci sono le sue parole ma c’è il suo cuore che parla e che il Signore vede e sceglie. Dio “in San Giuseppe – scrive Francesco – ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità”. Le vocazioni così generano e rigenerano vita ogni giorno:

Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri: cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze. Di questo hanno bisogno il sacerdozio e la vita consacrata, oggi in modo particolare, in tempi segnati da fragilità e sofferenze dovute anche alla pandemia, che ha originato incertezze e paure circa il futuro e il senso stesso della vita. San Giuseppe ci viene incontro con la sua mitezza, da Santo della porta accanto; al contempo la sua forte testimonianza può orientarci nel cammino.

Fonte: www.vaticannews.va

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