UNA LEGGE DA CAMBIARE

Sono passati 40 anni da quel 22 maggio 1978 in cui fu approvata la legge sull’aborto.
Da allora mancano all’appello 6 milioni di nuovi cittadini a cui non è stato permesso di nascere.
Ecco alcuni numeri: nel 2016 gli aborti sono stati 84.916 aborti nel 2016, ma sono aumentati gli aborti chimici: nel 2012 erano state 7.796 confezioni di pillola del giorno dopo vendute in Italia; nel 2016 sono state 189.589.
Intanto, in questi giorni, sta girando per Verona il Camion Vela di ProVita con un manifesto contro l’aborto che è stato censurato a Roma, in un Paese dove non si censura più niente se non quanto non è politically correct. Una interessante riflessione arriva dagli esempi dei Centri Aiuto Vita che in questi quarant’anni, grazie al volontariato, hanno aiutato centinaia di migliaia di donne a proseguire con una gravidanza che avrebbe rifiutato perchè sole, indigenti, senza lavoro, abbandonate. Un compito che spetterebbe allo Stato. Altri esempi virtuosi sono la presenza delle volontarie di alcuni Cav all’interno degli Ospedali per consigliare le donne, alle quali non viene fatta vedere l’ecografia né fatto sentire il cuoricino del bambino prima di abortire. Un’altra verità censurata. A Verona, nella Seconda Circoscrizione, è stata approvata una mozione del Popolo della Famiglia per ripristinare all’interno dell’Ospedale di Borgo Trento uno spazio informativo del Cav per le donne in difficoltà. Proprio sull’azione preventiva che dovrebbero svolgere i consultori pubblici in risposta al testo della legge 194, intervengono oggi su Avvenire Carlo e Marina Casini:
‘È provato che le leggi permissive aumentano il numero degli aborti.- si legge sull’articolo di ‘Avvenire’ – Questo è tanto più vero oggi quando la prevenzione dell’aborto è divenuta largamente un effetto dello stato di coscienza individuale e sociale. La legge è percepita come un’indicazione di valori, una guida all’azione. Essa contribuisce potentemente a formare la mentalità del popolo e dei singoli. (…) Un’azione diretta al cambiamento della legge 194, in una logica di realismo e di gradualità, dovrebbe almeno rimuovere le equivocità e le insincerità che sono presenti nella legge stessa, la più grave delle quali maschera sotto l’apparenza di un aborto ammesso in casi particolari l’applicazione del principio di au- todeterminazione.
Nessuno può giudicare negativamente il lavoro svolto dai Centri aiuto alla vita (Cav). I consultori familiari pubblici dovrebbero svolgere la stessa funzione dei Cav in modo molto più ampio.
Quando la legge 194 fu discussa in Parlamento non pochi, che pur la sostenevano, attribuirono ai consultori familiari la funzione esclusiva di aiutare la donna a proseguire la gravidanza, come, del resto, si può ritenere in base ad una corretta interpretazione dell’articolo 2. Purtroppo, però, questo scopo dei consultori, è stato largamente stravolto nell’attuazione pratica. Essi vengono concepiti come strumenti di accompagnamento della donna verso l’aborto e quindi, sostanzialmente, come garanzie dell’autodeterminazione. La logica avrebbe dovuto essere opposta: lo Stato non punisce più l’aborto, ma fa tutto il possibile sul piano del consiglio e dell’aiuto affinché la gravidanza prosegua.
Purtroppo, l’abbandono della funzione descritta nell’articolo 2 sta giungendo ai limiti estremi, al punto che talune autorità amministrative escludono i medici obiettori dai consultori e, addirittura, pretendono di trasformare alcuni consultori in ambienti dove si possono praticare interventi abortivi.’